Nuova frontiera del food, l’eating design comincia a prendere piede anche in Italia. Patria della buona cucina e dei ristoranti stellati, lo stivale sembra il contesto ideale per questo nuovo modo di intendere gli atti alimentari. Perchè di questo parliamo: l’eating design viene definito dalla sua pioniera, l’olandese  Marije Vogelzang, appunto “il design del verbo mangiare”.  Le implicazioni creative di questo nuovo modo di intendere il cibo e le azioni intorno ad esso possono regalare suggestioni inedite. Il piatto – non più solo prodotto da consumare – riacquista la valenza simbolica che aveva smarrito, torna alle sue origini, ai luoghi che l’hanno generato e ai riti nati intorno al desco.

Come spiega la Vogelzang nel libro “Eat love”, la filosofia dell’eating design coinvolge contemporaneamente: i sensi, la natura, la cultura, la società, la tecnica, la scienza e l’azione.

Per saperne di più, abbiamo intervistato Antonella Mignacca di Into the food, collettivo nato nel 2012 che ha incentrato le proprie ricerche sulla progettazione legata al cibo.

Antonella, cosa intendete per eating design?

«Into the food si occupa di food e eating design, nuove discipline che racchiudono gli studi progettuali e le ricerche che portano alla nascita di nuovi prodotti legati al cibo (food) o nuovi modi di mangiare in un determinato contesto (eating). Con il food e l’eating design, l’atto alimentare non è più generato empiricamente, come avveniva fin dalle origini dell’uomo, ma nasce da ricerche che spaziano dalla biologia, alla genetica, all’antropologia, alla psicoanalisi, alla sociologia dell’alimentazione, alle ricerche sulla sociabilità e la mediazione sociale, non ultima alla storia dei sistemi culinari e le forme di convivialità».

Come nasce un progetto del genere?

«Un progetto di food design può impreziosire opening di mostre d’arte in gallerie e musei, eventi culturali in genere e feste private; in questi contesti il cibo diventa veicolo di un messaggio (ludico, di denuncia, di riflessione, culturale, etc.) che va ad arricchire l’esperienza del commensale. Il progettista vede l’oggetto edibile come un oggetto di design partendo da considerazioni quali la matericità, bisogni e necessità a cui rispondere, l’estetica, l’usabilità e il messaggio da trasmettere. Il food designer guarda agli ingredienti di un piatto così come un architetto guarda ai materiali che comporranno l’opera architettonica. Texture, colore, consistenza, odori, suoni saranno elementi attraverso cui passerà il progetto. Il progetto di eating design, invece, riguarda tutto ciò che accade intorno al piatto prendendo ispirazione dalle origini del cibo, dalla preparazione al modo in cui viene servito e mangiato, dalla storia alla cultura del cibo. Il progetto di eating design non mira alla progettazione delle forme del cibo ma a tutto ciò che fa da sfondo al cibo stesso, le forme sono solo strumenti per raccontare una storia. Il progetto si muove attraverso le relazioni che si instaurano tra il soggetto, il cibo e l’ambiente creando un’esperienza unica.  Un’altra applicazione che può avere questa nuova declinazione del design è nel processo di rigenerazione e nello sviluppo delle comunità locali, e altro ruolo fondamentale, nei progetti che intervengono sull’ottimizzazione dei sistemi di produzione e distribuzione del cibo per un futuro più sostenibile».

Cosa ispira i vostri progetti?

«All’inizio del nostro lavoro i progetti e le teorie dei precursori di queste nuove discipline, che alla fine degli anni novanta hanno iniziato a fondere cibo e progetto, sono stati fondamentali. Successivamente, siamo diventati sempre più consapevoli della potenzialità di ciò che creavano e probabilmente ciò che ci guida ora è la voglia di portare le persone in una dimensione emotiva ed esperenziale che li avvolga attraverso il cibo. La voglia di raccontare attraverso il cibo, di far passare dei messaggi culturali o etici ci rende consci del ruolo che siamo chiamati a svolgere in un momento in cui le risposte al nostro futuro devono passare necessariamente attraverso il cibo».

Qual è la risposta del pubblico alle vostre proposte?

«Durante gli eventi, realizzati a Roma e a Milano durante il Fuorisalone 2014, abbiamo sperimentato diverse tematiche, dalla condivisione, al messaggio puramente culturale legato a quello specifico evento (ad esempio le opere di un artista, oppure la provenienza geografica di un artista di cui curavano l’opening della mostra), a messaggi etici come ad esempio l’acqua virtuale in cui un lavoro sul packaging comunicava al fruitore l’acqua utilizzata per produrre il cibo che stava per mangiare. Il progetto di design in generale spesso necessita di un background culturale per apprezzare a pieno il risultato, con il cibo e con l’eating design invece riusciamo ad arrivare a tutti, poichè tutti mangiano e tutti hanno gli strumenti per misurarsi con questa nuova esperienza. Le reazioni sono sempre diverse perchè diverso è il pubblico, ma sempre abbiamo ottenuto un grosso coinvolgimento, una grossa interazione tra le persone e con l’ambiente».

Anticipazioni sui prossimi progetti?

«Stiamo iniziando un’altra fase del nostro lavoro collaborando con ristoranti gourmet».

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