Post Brexit: e i calciatori stranieri del campionato più ricco e seguito del mondo?
Ebbene SI, dopo 44 anni di matrimonio, la Signora Gran Bretagna ha avviato felicemente le pratiche per la separazione dalla Comunità Europea. Si sa che che per un divorzio non c’è bisogno per forza di una situazione conflittuale tra le due parti, basta la disaffezione di uno dei due coniugi, ma dai batti e ribatti di frecciatine tra la britannica May e l’europeo Juncker direi che la separazione sarà molto dolorosa per entrambi le parti.
Chissà quali saranno gli scenari futuri della Premier League e di tutti quei calciatori stranieri preziosi per la commercializzazione del proprio brand?
Richard Scudamore, CEO della Football Association (federazione calcistica inglese), assolutamente non voleva la Brexit. Il calcio inglese vive di campioni che ben presto saranno considerati stranieri e ciò significherebbe anche in termini economici un aumento secco di circa del 20% del prezzo dei calciatori targati UE.
Insomma la Premier League non potrà più godere del principio della libera circolazione dei giocatori e sarebbe così costretta a chiedere il permesso di lavoro per tutti i suoi tesserati, sulla base delle attuali norme già in vigore per gli extracomunitari e legate ad una determinata percentuale di apparizioni internazionali e lo scenario potrebbe proprio essere come mostra il disegno satirico del vignettista Omar Momani, che ho voluto usare come immagine di copertina.
Molti dei club del massimo campionato inglese sono di proprietà totale o sostanziale di fondi esteri e tutto per merito dell’appeal della Premier League, dei suoi campioni e delle strategie di marketing, che nell’ultimo decennio hanno saputo attrarre diligentemente investitori stranieri.
Quindi molti degli investitori esteri, polarizzati dalla logica di profitto finanziario del mercato di libero scambio nell’UE, potrebbero ritirarsi per il rischio di un crollo della sterlina e dell’incertezza di come la Gran Bretagna negozierà gli accordi commerciali sul mercato del calciatori.
Post Brexit: la Premier perderà tutti i suoi campioni?
Attualmente il 65% dei calciatori che palleggiano e segnano nei brand calcistici della Premier League non sono alieni, ma bensì stranieri e ne é un esempio il brand dei Blues, guidato dal nostro ex Ct Azzurro, Antonio Conte, ovvero il Chelsea, in cui la percentuale di foreigners arriva addirittura al 74% che hanno anche realizzato il 76% delle reti nel campionato in corso. Seguono il Manchester City con 59%, il West Ham con 57%, l’Arsenal con 54%, il Middlesbrough con 53%, il Manchester United con 51%, il Liverpool con 50% ed il Watford con il 50% di calciatori not british.
Insomma i numeri non mentono! Si tratta di campioni, ingaggiati senza alcun riguardo per la spesa, che al di là della prestazione in campo riempiono le casse del club. Sono proprio questi calciatori stranieri ad essere gli ambasciatori dei vari brand del campionato inglese, che a loro volta beneficiano (come richiesto dal contratto di assunzione) dell’immagine del calciatore nei media commerciali e sui social. Sono proprio questi giocatori ad attrarre sponsorizzazioni redditizi, duraturi e tifosi/follower, rendendo così il brand calcistico di appartenenza e di conseguenza la Premier League sol(i)dissimi.
La Brexit rappresenta di sicuro una svolta epocale, per un campionato il cui business ruota non solo attorno al pallone ma sopratutto alla capacità di attrazione per i talenti più promettenti del panorama calcistico non solo europeo.
La Premier League è motivata dal suo grande successo commerciale e sono convinto che non vorrà perdere questa egemonia sul panorama calcistico mondiale. Tanto ci vorranno almeno due anni perché la post Brexit influisca sulla Premier League e la Football Association troverà di sicuro degli escamotage normativi per fare acquistare giocatori stranieri senza limitazioni.
Sicuramente l’impatto più significativo della Brexit interessa il calciomercato, causato da una sterlina debole, che da un lato potrebbe facilitare i prelievi esteri dei giocatori di Premier League e inversamente, complicare la campagna acquisti dei club inglesi.
A questo punto non mi resta che concludere con un invito ai mie lettori di andare a Londra per fare shopping non solo a Mayfair o Carnaby Street, ma anche al Chelsea & Company!