Lo sport come strumento per promuovere il passaggio dalla cultura della dis-abilità a quello dell’abilità. Ne parliamo con Sofia Righetti
All’ultimo Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia ho assistito al workshop “Disabilità e sport, la lezione di Rio 2016: le sfide dell’informazione”, a cui sono intervenute due azzurre paralimpiche di altissimo livello, Martina Caironi (oro all’ultime Paralimpiadi di Rio) e Sofia Righetti (oro nello Sci Alpino) che si é anche resa disponibile per un’intervista molto interessante.
Fonte: www.sofiarighetti.it
Lo sport si contraddistingue sempre per qualcosa di positivo ed in questo caso come vettore di inclusione sociale delle persone con disabilità. Quotidianamente il disabile si trova ad affrontare numerose difficoltà sia a livello di autonomia personale, sia di quello della socio-affettività. Grazie alla pratica sportiva si sviluppano nuove e diverse abilità, fondamentali per la fiducia nelle proprie capacità, come mostra chiaramente lo spot emozionante e a tratti autoironico di Channel 4 dell’evento “Yes I Can” mesi prima della cerimonia di apertura di Rio 2017.
Gli atleti con diverse abilità sono i testimonial d’eccezione con le loro prestazioni da Super Humans per confermare che in primo piano c’é la persona ed in secondo piano la sua condizione. La disabilità é una condizione che é causata da una malattia, una malformazione, dall’incompetenza medica o da un incidente, ma questa non é una malattia. Dunque il focus è sulla persona.
Con i Giochi Paralimpici di Londra 2012 gli atleti con abilità diverse hanno appassionato il pubblico e di conseguenza conquistato l’interesse di molti brand. Ma sentiamo ciò che ci racconta Sofia nella sua intervista!
Ciao Sofia, sei modella, chitarrista, attivista e soprattutto campionessa sportiva. Racconta ai nostri lettori della tua energia e delle tue passioni. Inoltre hai dichiarato che sei fiera della tua carrozzina. Perché?
E’ difficile descrivere in poche righe l’intero mondo che mi circonda. Mi chiamo Sofia Righetti, sono vegana e antispecista da una vita. Sono laureata in Scienze Filosofiche con una tesi sui diritti delle persone con disabilità, amo profondamente la musica e tutto ciò che ti fa sentire vivo e pulsante. Non mi do limiti e credo che la vita debba essere goduta fino in fondo e per questo ho provato a fare tutto ciò che generava in me passione, dal mettere in piedi una band metal, a viaggiare da sola oltreoceano – sono appena tornata dall’Australia – al posare davanti all’obiettivo, fino a vincere i campionati nazionali di sci alpino.
Ho iniziato a sciare per la prima volta nel 2012 e ho vinto i campionati nazionali due anni dopo, nel 2014. Ho scelto lo sci alpino poiché adoro la velocità, l’adrenalina, la concentrazione e la cattiveria che devi metterci in questo sport, cacciare via le tue paure sul pericolo e diventare una vera e propria tigre delle nevi, veloce e scattante, tagliando il ghiaccio con le lamine e con gli occhi focalizzati sempre sul paletto dopo. Penso che rappresenti al pieno la mia personalità, e poi, diciamocelo, cosa c’è di più figo che vedere un atleta su un monosci in carbonio che sfreccia veloce come un lampo?
L’espressione “Fiera della mia carrozzina” è il titolo di un articolo che pubblicai dopo che una giornalista scrisse su di me “ Sofia è bella, sexy, intelligente e atletica. Nessuno direbbe che sia in carrozzina”. E perché? Una ragazza in carrozzina deve per forza essere brutta, stupida, poco attraente e fuori forma? La carrozzina è un mezzo meraviglioso di tecnologia e design, che permette di muoversi e correre nel mondo. Ci sono decine di brand che si contendono i clienti con materiali e accessori all’ultimo grido, e tecnici ed ingegneri preparati a farti la carrozzina più performante e su misura, come fosse un vestito. L’ultima che ho preso è fatta in titanio e carbonio ed è stata assemblata negli States, perché nessuno direbbe che io usi una carrozzina? Ne vado fiera eccome, così come vado fiera del mio corpo e della mia fisicità.
Secondo te la disabilità viene ancora trattata come un caso strappalacrime dai media? Cosa ti fa maggiormente “incazzare”?
Purtroppo sì, dai media più ignoranti e provinciali, che ambiscono a far clamore sulla storia delle persone portandole come disgrazie, alimentando quel pietismo penoso che detesto con tutta me stessa. Tutti possono avere un incidente, nessuno di noi qui è superman e tutti possiamo avere una disabilità domani, non solo per una malattia, basta semplicemente attraversare la strada nel momento sbagliato. Esaltiamo la lotta per i diritti, per l’uguaglianza, parliamo di come possiamo fare per rendere la società pari per tutti. Se una modella è sexy, basta sottolineare solo fatto che è in carrozzina o che ha un arto amputato (e quindi chissà quale incredibile forza interiore, altro pregiudizio stupido e irritante) , è sexy e basta, con tutta l’armoniosità e la bellezza espressiva del suo corpo. Smettiamola di raccontare le storie dei disabili con quel pathos penoso, e concentriamoci sul potere, sulla forza, sulla bellezza fisica o sull’intelligenza della persona: per Rio 2016 Channel 4 ha fatto un trailer spettacolare delle Paralimpiadi, luci e colori fantastici, esaltato dalla canzone “ Yes I can” di Sinatra, rifatta in chiave moderna. Quello è il tipo di rappresentazione che voglio vedere: quella che esalta la normalità e la straordinarietà, con ironia e divertimento, quella che ti fa pensare “ diamine, se i disabili sono così, voglio essere disabile anch’io”.
Come potrebbero i media, sia tradizionali sia digitali, rafforzare la convinzione che la disabilità non definisca chi la indossa ma ne rappresenti solo una condizione e che il disabile debba meritare il rispetto dovuto a tutti, disabili o non?
I giornalisti hanno una grandissima responsabilità nell’uso delle parole, in quanto i termini scelti per descrivere una situazione o una persona plasmano la realtà e il mondo, a seconda di come la gente la percepisce. E’ ben diverso scrivere “frocio”, “affetto da omosessualità” o “persona omosessuale”: tutti e tre i termini hanno una connotazione semantica molto differente, e mentre i primi due oltre ad essere offensivi rimandano a qualcosa di sbagliato, una devianza che affligge e che deve essere corretta, l’ultimo termine è quello corretto che descrive oggettivamente un uomo o una donna gay. Così come è ben diverso scrivere “handicappato”, “affetto da paraplegia” o “persona con disabilità/persona in carrozzina”: i primi due termini sono offensivi ed errati, poiché connotano la disabilità come qualcosa di triste, terribile, che affetta inevitabilmente la persona, mentre l’ultimo è il termine corretto ed oggettivo (se davvero si ha il bisogno di specificarlo). Credo davvero che le parole creino la realtà e che i mass media abbiano un grande potere di farla percepire in un modo o nell’altro a seconda delle parole che usano e che diffondono. Per questo è loro dovere deontologico utilizzare la terminologia corretta per non inficiare le persone con una prospettiva sbagliata e poter così contribuire ad una visione giusta della disabilità, come caratteristica e non come sfortuna o disgrazia.
Oggi molti, grazie ai social, ambiscono a diventare protagonisti raccontando la propria vita soprattutto se corredati da emozioni. La tua vita é uno storytelling importante per seminare messaggi che portano alla comprensione di cosa accade in questo mondo, che è il mondo di tutti. Come ti racconti senza cadere nella lagna fine a se stessa?
Semplice: racconto la vita dalla mia prospettiva, che può essere terribilmente profonda così come frivola e piena di ironia, come qualsiasi altra ragazza di ventotto anni. Preferisco prendere spunto da quello che vedo o che mi succede per fare una riflessione generale sulle persone e sul mondo, in modo da portare anche gli altri a riflettere e migliorare tutto ciò che è in nostro potere partendo dalle piccole cose, per esempio mettendo una rampa fuori dal proprio negozio, evitare di guardare come fosse un alieno una ragazza con disabilità che il sabato sera è in discoteca a ballare, o ancora più importante scegliere un piatto veg invece che con la carne o il latte di animali. Non credo di essermi mai “lagnata”: alzare la voce quando qualcosa non funziona o si è vittime di una discriminazione non è lagnarsi o lamentarsi senza scopo, ma pretendere i diritti che ci sono riservati dalla nostra Costituzione: denuncio ciò che succede poiché non sono mai stata il tipo di persona che rimane zitta e se la prende nei denti, e le mie battaglie le divulgo attraverso i social e l’esempio in prima persona possono essere d’aiuto e di ispirazione per molti altri, fino a che la società non sarà davvero alla portata di tutti i suoi abitanti.
Secondo te, le varie campagne di sensibilizzazione verso le problematiche che affrontano i disabili quotidianamente sono condite un pò troppo dal buonissimo bigotto?
Credo che piano piano ci stiamo finalmente evolvendo, grazie all’azione degli attivisti, delle persone che lottano per i diritti delle persone con disabilità e di tutti coloro che hanno alzato la voce, oltre che dagli esempi pratici portati avanti da moltissime persone. Non credo che il termine “sensibilizzazione” sia quello corretto, preferisco parlare di giustizia sociale, in quanto si sta parlando di cittadini con uguali diritti e doveri. Nel 2006 è stata enunciata dall’ONU la Dichiarazione per i Diritti delle Persone con Disabilità, e nello stesso anno l’Italia ha firmato la legge che tutela le persone con disabilità da ogni forma di discriminazione o diverso trattamento rispetto agli altri cittadini, che sia in forma diretta o indiretta. Le persone devono essere consapevoli di questo e che hanno la legge dalla loro parte, anche se purtroppo spesso è fermata da cavilli burocratici ridicoli e inutili, come quelli in cui si incorre quando si vuole far rimuovere una barriera architettonica.
Il no categorico della candidatura di Roma ai Giochi Olimpici e di conseguenza ai Giochi Paralimpici secondo te é un’occasione sprecata per fare conoscere le abilità dei disabili in Italia e di rendere Roma, una delle città più belle al mondo, accessibile a tutti?
Moltissime città si sono modernizzate grazie ai Giochi Paralimpici, mi vengono in mente Barcellona o Londra, che hanno trovato nelle Paralimpiadi la spinta decisiva per evolversi e ora sono tra le città più belle, accessibili e fruibili del mondo.
Roma è una città bellissima, ci sono stata due volte e mi sono letteralmente innamorata dell’arte, della bellezza e della cultura che puoi respirare in ogni angolo e in ogni scorcio, eppure ha così tanto da fare per diventare veramente accogliente per i cittadini e i turisti con disabilità. Basterebbe un minimo di attenzione e di volontà da parte del comune per abbattere le barriere architettoniche, rendere accessibile la metro o gli autobus, i negozi. Ritengo però che se è stato deciso che non era il momento per Roma e per i romani di candidarsi alle prossime Olimpiadi, questa non deve essere una scusante per non rendere la capitale italiana alla portata di tutti.
Gli sponsor e i grandi brand sono vitali per ogni evento sportivo. Secondo te i grandi atleti paralimpici come te sono stati raccontati bene o solamente utilizzati per veicolare un prodotto?
Da molti esempi che ho visto, per esempio Aimee Mullins o recentemente Bebe Vio per alcune pubblicità, credo sia fantastico che un atleta paralimpico sia visto come un vettore che possa influenzare positivamente il marketing o come un modello positivo che dia prestigio ad un brand o una marca. Si esce dall’ottica passata del pietismo e si concepisce la persona con disabilità come attraente e fruibile per la pubblicizzazione di un prodotto. Spero che presto ciò valga non solo per gli atleti, ma anche per le altre persone con disabilità, che senza essere famosi a livello sportivo possano essere presi come modelli o modelle per la semplice vendita di un prodotto, al pari dei modelli senza disabilità, senza distinzione o senza altri fini di fondo.
Sei terribilmente sexy, come ho voluto sottolineare nel mio titolo a questo articolo, assomigli parecchio ad una diva italiana del cinema internazionale, Ornella Muti. Il cinema e la TV ti stanno corteggiando? Immagineresti di poter fare l’attrice? Secondo te il cinema tratta il tema della dis-abilità dignitosamente?
Grazie mille per il complimento! ☺ Sicuramente se il cinema o la TV mi offrisse una parte accetterei più che volentieri, se la parte fosse ben scritta e che rompesse certi stereotipi. Sono sempre stata a mio agio davanti alle telecamere e tra le mille cose che ho fatto c’è stato anche teatro per quattro anni, quando andavo al liceo. Ultimamente il cinema ha trattato spesso il tema della disabilità, basti pensare a “Me before you”, “Quasi amici” o “The Session”, spesso in modo intelligente, rispecchiando certi aspetti che può comportare in alcune persone avere una disabilità ma non certamente tutti. Io sto aspettando che vengano scelti attori che abbiano davvero una disabilità per interpretare ruoli vari, che possano essere quelli della madre, del padre, della giovane ribelle o della musicista, non per forza un ruolo incentrato sul tema della disabilità. Anzi, ancor di più aspetto che arrivi il film in cui Christian Grey di Cinquanta sfumature di grigio sia interpretato da un giovane, sexy, sfrontato “sciupafemmine” in carrozzina. E la spingo ancora più in là, giusto per rompere tutti gli stereotipi: che non sia un uomo, ma una donna sexy e sfrontata, e che la carrozzina venga in secondo piano rispetto alla trama, che sia solo un meraviglioso accessorio insieme alle sue stiletto tacco 12.
Fonte: www.sofiarighetti.it
Grazie Sofia per l’intervista e del grande messaggio che é trapelato dalle tue risposte: atleti come te insegnano a guardare quello che si ha e non a quello che manca. Di sicuro sentiremo ancora parlare di Sofia Righetti.
Quando si parla di disabilità sia nello sport sia nella vita di tutti i giorni, spesso ricorriamo ad immagini stereotipate, quindi il compito della comunicazione mediatica é quello di mostrare le abilità e di conseguenza migliorare la vita di tutti, indistintamente dalle condizioni che limitano la mobilità o l’apprendimento. Mi sbaglio forse? Diteci la vostra!