La donna nella pubblicità: l’evoluzione nel modo di vedere la figura femminile
di Claudio Ianniello
La pubblicità nel dizionario della lingua italiana appartiene al genere femminile e non è un caso.
Sin dalle origini infatti, le campagne pubblicitarie hanno avuto come testimonial volti e corpi femminili.
Il gentil sesso è stato protagonista di manifesti cult e di spot televisivi rimasti impressi nelle menti di milioni di telespettatori. Con l’avvento della società post-moderna il binomio bellezza femminile-pubblicità acquista un’importanza crescente.
La pubblicità, tra le tante forme di comunicazione, ha l’obiettivo di influenzare i comportamenti e le scelte dei destinatari del messaggio veicolato. All’interno di tale cornice si colloca il corpo femminile, che talvolta è utilizzato in maniera spropositata o inadeguata.
Ripercorrendo la storia della pubblicità, dagli anni ’20 del secolo scorso fino ad oggi, la prima cosa che percepiamo è il cambiamento della figura femminile. Una mutazione che riguarda innanzitutto il ruolo sociale della donna. Si passa infatti dalla classica madre di famiglia alla giovane dai tratti americani.
I canoni di bellezza dettati dalle mode si riflettono nell’immagine femminile che vediamo prima nei manifesti, poi nelle pubblicità televisive fino ad arrivare ai banner dei siti internet.
Il gentil sesso, nel corso di circa un secolo viene, prima, presentato come un ornamento rispetto all’oggetto pubblicizzato e successivamente come coprotagonista dell’annuncio. Lo sguardo ammiccante della donna, a favore della macchina fotografica, ben presto viene messo da parte a favore dell’utilizzo del corpo femminile in tutta la sua bellezza, ripreso dalle telecamere dei primi spot commerciali.
Questo cambiamento viene gradualmente recepito dal grande pubblico ed inizia a sedimentarsi nell’immaginario collettivo, scardinando antichi tabù sociali. Nel corso del XX secolo, infatti, il gentil sesso cambia il suo ruolo all’interno della società.
L’emancipazione femminile mette in discussione la concezione della donna come madre e moglie, fino ad accantonarla. Nelle campagne pubblicitarie, la figura femminile viene presentata sempre più come un soggetto seducente, che deve conquistare il pubblico ed indurlo ad acquistare l’oggetto promosso nell’annuncio pubblicitario.
Per comprendere il ruolo attuale della donna nella pubblicità è necessario fare un salto indietro, ripercorrendo le tappe evolutive di un processo che inizia con Carosello e arriva fino ai giorni nostri.
Prima di cominciare il nostro percorso è opportuno fare un paio di premesse:
– La donna nel corso della storia della pubblicità è stata sia il target privilegiato di molti annunci pubblicitari sia l’oggetto estetizzato da osservare;
– La pubblicità commerciale ha giocato un ruolo di primo piano nel processo di emancipazione femminile;
A questo punto siamo pronti per iniziare il nostro percorso che ci condurrà ad avere una maggiore consapevolezza dell’universo femminile nel mondo della pubblicità.
Indice dei Contenuti
La donna negli anni ’50-70: da casalinga a icona sexy
Anni ‘80-2000: come cambia il rapporto uomo-donna nella pubblicità
La donna nella pubblicità di oggi
Il corpo femminile tra stereotipi e oggettivazione
La donna negli anni ’50-70: da casalinga a icona sexy
Iniziamo il nostro percorso dagli anni ’50. Il secondo dopoguerra è anche l’epoca del boom economico con il conseguente exploit dei beni di largo consumo.
Il principale “aggregatore” delle apparecchiature provenienti da oltreoceano è Carosello, un programma televisivo che i bambini nati nella metà del Novecento ricordano ancora oggi con nostalgia.
Un contenitore di spot televisivi diffusi dai principali marchi commerciali, dove la donna è una casalinga dall’aria borghese, che promuove il nuovissimo detersivo Dash oppure il dado Star.
Gli annunci dell’epoca, pur non essendo molto elaborati, cercavano di far presa sulla psicologia femminile, facendo leva sul bisogno di gratificazione oppure sui processi di identificazione.
Nel frattempo cambiano anche i prodotti promossi, che si rivolgono sempre più alla donna promettendole di liberarla dagli impegni domestici.
L’immaginario pubblicitario, quindi, rappresenta il cambiamento che avviene in quell’epoca utilizzando dei simulacri che forniscono uno specchio distorto della realtà.
Un altro archetipo molto utilizzato nelle campagne pubblicitarie degli anni ’50, che resiste ancora oggi, è la mamma. Essa, nel corso dei decenni ha cambiato look e guardaroba ma ha conservato il suo ruolo di dispensatrice di cura ed affettività.
Le cose cambiano negli anni Settanta, quando la donna diventa un’icona sexy delle pubblicità.
In questo periodo si comincia a parlare di “donne-oggetto”, perché esse vengono affiancate e scambiate per i prodotti. Quindi, da un lato troviamo un concetto di libertà sventolato ai quattro venti, mentre dell’altro viene meno il tabù del sesso attraverso la rappresentazione della donna seduttrice.
Gli sguardi ammiccanti e le pose sensuali fanno dimenticare la donna tutta casa e spesa, proposta venti anni prima.
Negli anni ’70, la protagonista delle campagne pubblicitarie è la femminilità sensuale e tentatrice, che fa leva sulla bellezza fisica della testimonial per promuovere alcune caratteristiche del prodotto pubblicizzato.
Un esempio è la bionda della pubblicità Peroni dove il visual, in cui compare un’aitante modella dal fascino nordico, è accompagnato da un copy altrettanto audace: “Chiamami Peroni- Sarò la tua birra”.
Il meccanismo che sta alla base di questo genere di annunci associa il corpo, nudo e femminile, al prodotto in maniera più o meno pretestuosa.
La donna nella pubblicità italiana viene spesso presentata a pezzi e quasi sempre manca il volto oppure la testa della testimonial. Quindi, vengono mostrati: gambe, mani, labbra e glutei senza rivelare la figura per intero.
Anni ‘80-2000: come cambia il rapporto uomo-donna nella pubblicità
Negli anni Ottanta il corpo femminile è ancora protagonista degli annunci pubblicitari, che troviamo sotto forma di manifesti ed spot televisivi.
La donna inizia ad acquisire un’immagine più sicura dando inizio ad un processo inedito nel rapporto con l’altro sesso, che culminerà nei primi anni del nuovo millennio.
Sono gli anni in cui la figura femminile inizia ad essere rappresentata come manager e capofamiglia.
Questo processo di emancipazione si rafforza negli anni ’90, quando la presenza femminile viene influenzata da una serie di tendenze sociali che il sociologo Giampolo Fabris ha definito “femminilizzazione della società” (Fabris G., Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Franco Angeli, Milano, 2003).
Un fenomeno che determina l’emancipazione della donna e un cambiamento del suo ruolo all’interno dei messaggi pubblicitari. Esso smonta l’immagine convenzionale della donna aprendo degli scenari inediti.
Allo stesso tempo, cambia il rapporto uomo-donna.
La moda inizia ad aprire le porte anche all’universo maschile come testimoniato dal decollo della cosmesi uomo. Questo comincia ad apparire anche negli spot di quei prodotti un tempo destinati soltanto alle ragazze oppure alle mamme, come ad esempio nelle soluzioni depilatorie e le barrette dimagranti.
La contaminazione dei generi determina il successo, fino a quel momento inedito, dei prodotti unisex.
L’ambiguità dei generi è mostrata con la raffigurazione delle donne in abiti ed atteggiamenti maschili.
Non è un caso che la casa automobilistica Lancia mostri una donna in smoking e mocassini nel visual della sua campagna stampa dei primi anni del 2000 e la moda lancia la donna in carriera.
Questi sono anche gli anni in cui la pubblicità sul web inizia ad acquisire una certa rilevanza non solo in termini di contatti raggiunti ma anche di capitali investiti.
Nei consigli d’amministrazione delle grandi aziende si inizia a parlare di web marketing e qualche audace responsabile di marketing propone di inserire la pubblicità online nel marketing mix del piano aziendale.
Un nuovo capitolo della storia della pubblicità è alle porte ed il ruolo della donna cambierà ancora una volta.
La donna nella pubblicità di oggi
La differenza sostanziale che intercorre tra la pubblicità di ieri e quella dei tempi nostri, riguarda il valore attribuito al gentil sesso e il rapporto fra esso ed i prodotti pubblicizzati.
In passato, lo scopo delle campagne pubblicitarie era la valorizzazione del prodotto da vendere.
Oggi, invece, il marchio oppure il bene proposto, ha un ruolo secondario, appena strumentale, rispetto all’effetto del messaggio comunicato attraverso un visual seducente ed un copy equivocabile.
Sono tante le campagne pubblicitarie in cui la malizia la fa da padrona e le accuse di sessismo passano in secondo piano.
Le leggi del marketing, oggi più che mai, la fanno da padrona.
Il corpo femminile viene mostrato seminudo oppure coperto da indumenti in grado di mettere in evidenza le forme. Queste ultime variano in funzione dei canoni di bellezza del momento.
L’immagine femminile è influenzata dalla moda, che a sua volta cambia anche il volto della testimonial di un marchio.
La donna è sempre più protagonista della comunicazione commerciale dove, nel bene e nel male, gioca un duplice ruolo nei confronti dei destinatari: di ammaliatrice, nei confronti degli uomini, e di rappresentazione di un’ideale di bellezza, per le donne.
Il modello di donna-oggetto continua ad essere utilizzato, soprattutto nelle campagne pubblicitarie outdoor, come possiamo ricordare nel caso di una nota azienda di trasporti marittimi. In quel caso il riferimento ai vulcani delle due città meridionali rappresentati in pubblicità passa attraverso le forme prorompenti di una modella di cui non conosciamo il volto.
Assistiamo ad una frammentazione del corpo femminile senza precedenti. Il fine è colpire il pubblico, anche a costo di essere spudoratamente invadenti. L’aumento della concorrenza genera scelte di marketing aggressive, a cui seguono delle campagne pubblicitarie senza esclusioni di colpi tra i vari competitor.
Il corpo femminile tra stereotipi e oggettivazione
Ai giorni nostri, il ventaglio degli stereotipi femminili proposti dalla comunicazione pubblicitaria è ampio.
La mamma-moglie è ancora presente ma non è più casalinga ma una donna in carriera che deve cercare di conciliare lavoro ed impegni familiari. Dall’altro lato, la figura femminile seducente è sempre più rappresentata dalla bad girl, capace di infiammare l’immaginario erotico del destinatario maschile. Inoltre, non manca lo stereotipo dell’amica così come quello della nonna, che è intramontabile.
Questo ventaglio è dettato dai molteplici ruoli della donna nella società contemporanea. In questo modo, il pubblico femminile può immedesimarsi con diversi stereotipi, ai quali corrispondono diversi tipi di femminilità. Tutto ciò favorisce il legame, seppur immaginario, fra testimonial e destinatario dell’annuncio. Tuttavia, questi stereotipi sono ormai visti e rivisti. La mancanza di nuovi immaginari rappresenta il limite principale della pubblicità contemporanea. Fra le cause principali vi possono essere la pigrizia da parte dei creativi oppure il timore di incontrare dei problemi di decodifica da parte dei destinatari del messaggio.
Tutto ciò sembra paradossale in un’epoca dove l’innovazione delle modalità di comunicazione è all’ordine del giorno. L’unica certezza, per il futuro, è che la donna non scomparirà mai dall’advertising.
I movimenti femministi auspicano una presenza più rispettosa del corpo femminile, meno incline al sessismo.
Il rispetto della diversità e dell’intelligenza del pubblico femminile sta diventando una priorità per la maggior parte delle aziende e rappresenta un’opportunità anche in termini di immagine.
Un obiettivo futuro potrebbe essere la rappresentazione della multidimensionalità che caratterizza la vita reale: donne che lavorano, che innovano, donne di razze diverse, con fisici ed età diverse, corpi reali e belli al tempo stesso.
Un esempio di tutto ciò è costituito dalla Campagna Dove del 2012, dove la compagnia scelse di puntare sulla bellezza di alcune donne comuni piuttosto che affidarsi a delle modelle, come avveniva in precedenza.
Un caso che vale la pena approfondire.
Un’altra questione molto interessante riguarda l’oggettivazione della donna, che consiste nel non riconoscere la sua autonomia e capacità di azione. In questo modo, la figura femminile viene ridotta a un prodotto, disumanizzando la persona che incarna il testimonial. Per rendere meglio l’idea, prendiamo in considerazione quei casi in cui il corpo femminile viene presentato come strumento volto a soddisfare il piacere altrui, ovvero viene valutato solo in base al grado di eccitazione sessuale prodotta nel destinatario.
I dibattiti intorno a questo tipo di fenomeno sono molteplici e riguardano prevalentemente gli spot televisivi. Tuttavia, questo fenomeno il più delle volte passa inosservato poiché lo stereotipo della donna come icona sexy ormai rappresenta una tradizione consolidata nelle campagne pubblicitarie.
Questo modo di presentare la donna come mezzo di seduzione distorce l’immagine femminile, sminuendola e relegandola ad un ruolo di seduttrice oppure di casalinga giovane e piacente.
Un altro stereotipo, molto gettonato negli ultimi dieci anni, è quello della donna come professionista competente.
In questo caso la donna viene rappresentata come consumatrice oppure come testimonial di bellezza come avviene per i prodotti alimentari oppure cosmetici, nel secondo caso. In entrambe le situazioni, il suo ruolo è quello di garantire la qualità del bene pubblicizzato, mettendoci la faccia.
Il ruolo della donna nella pubblicità italiana è ancora distante dall’essere considerato egualitario.
Ma post come questi possono far aprire gli occhi sulla realtà ed essere il primo passo per una maggiore uguaglianza di genere, anche nella pubblicità.