Brand safety: gli studi americani sulla sicurezza del marchio

Sicurezza dei brand online: anche se oramai Halloween è lontano e dovreste fare sogni tranquilli per la pubblicità che avete scelto per promuovere la vostra attività online, in realtà non è così; questo post vi metterà se non in uno stato di allarme psico-ansiosa, uno stato di pura paura.

Pronti a provare brividi di terrore?  

Non date la colpa a me perchè la responsabilità è di uno studio che ha condotto il Times sul torbido mondo della cosiddetta brand safety, e si sa che in acque poco limpide non solo ci sono gli squali a sguazzare, ma anche che sia loro abitudine attaccare senza preavviso alcuno.

Sentite la preoccupazione che sta salendo? Eccovi l’antidoto: se adottate taluni passaggi di marketing magari la potete spuntare o per lo meno provare ad alleviare i rischi, questa perlomeno è l’idea che se ne desume dall’articolo di Marketing Week dal predittivo titolo: ‘Brand safety online: Can it ever be guaranteed‘. 

A quanto pare illustri marchi come Mercedes-Benz, Marie Curie, Waitrose sono finiti inconsapevolmente pubblicati su siti di odio razziale, accanto ai video YouTube di sostenitori di gruppi  terroristici e ovviamente gli immancabili siti pornografici, contribuendo così a pubblicizzare, promuovere e quindi infine finanziare le loro infauste cause ed oltretutto per migliaia di sterline.  BrrrRRrrr rabbrividiamo, è orribile!
Questa scomoda realtà per i Brand sul rischio potenziale di finire accanto a contenuti offensivi ed illegali non è certo una questione nuova o che deve stupire viste le precedenti indagini condotte prima da The Sun nel 2013 e dal Financial Times in tempi più recenti, che lo avevano ampiamente dimostrato e portato alle cronache, come i numerosi casi in cui si finisce accanto a contenuti non proprio opportuni per la reputazione del brand.
Resta il fatto che è giunto il momento di chiedersi se gli inserzionisti possono essere sicuri su come e dove verranno visualizzati i loro annunci dal momento in cui decidono di affidarsi alla pubblicità online. Eccone un esempio di pubblicità online non proprio corretta:

Tra le soluzioni addotte vi è quella di restituire il controllo della pubblicità agli inserzionisti e non agli intermediari – spesse volte aziende tech pubblicitarie – divenute oltretutto troppe.

Tutto ciò genera confusione dove invece vi dovrebbe essere chiarezza e passaggi per più mani che divengono torbidi anziché limpidi.

La prima garanzia può derivare dal non inquinare troppo i processi di acquisizione delle pubblicità, rendendoli per giunta più diretti.
Il paradosso è che pur a fronte di un incremento dei software-piattaforme adibiti al controllo del traffico e della visibilità e sicurezza del brand, in verità non vi è una diminuzione di questi fenomeni lesivi e che fanno loro pesanti danni d’immagine. 

Investimenti per costruire una reputazione vanno così, in fumo!

Inoltre il passaggio degli investimenti in pubblicità erogata per mezzo di media digitali per tutti questi intermediari, anziché un aumento di performance genera un depauperamento/dissipazione del capitale speso. Questa mancanza di trasparenza sta inquietando molti grandi brand, tra cui si annovera anche la Procter & Gamble. 

Secondo Stephan Loerke, CEO della Word Federation of Advertisers (WFA), solo i grandi Brand vanno in perdita a causa di questo sistema corrotto, mentre agenzie, intermediari ed editori ancora ottengono i loro profitti. In questo caso la soluzione potrebbe essere nel dare la completa assunzione di responsabilità agli inserzionisti e dominare il marketing digitale invece di finire dominati da esso, non rinunciando così ai diritti che si dovrebbero detenere e quindi tutelare con l’acquisto della proprietà dello spazio pubblicitario digitale. 

Nel mentre l’industria che misure sta adottando?

Il settore della pubblicità nel frattempo è disponibile all’ascolto per risolvere la questione; agenzie media come GroupM hanno avviato unità dedicate alla protezione dei brand online e programmi di sensibilizzazione, atti ad educare i loro clienti sull’uso dei loro strumenti.

Poi, ci sono tutta un’altre serie di iniziative che sono state intraprese:

JICWEBS – organismo creato dalle industrie di annunci e dei media del Regno Unito responsabile della creazione di standard e codici dei media digitali, in accordo con una vasta gamma di fonti, quali: Yahoo, Google, imprese tecnologiche pubblicitarie tra cui Ad2One – lavora a stretto contatto con organizzazioni di settore come IPA, IAB e AOP per trovare soluzioni alle frodi ed alla tutela dei rischi per i brand. 
Il loro operato è collegato alla mission di trovare una soluzione globale a questo tipo di problemi, la cui portata quindi assume connotati assai complessi oltre che gravi. Al momento tutta l’industria sta collaborando con la polizia per determinare i siti illegali, creando una lista nera. L’idea è di istituire presto una divisione di polizia dedicata a questo settore, alla pari di come ne esiste una per il settore finanziario.
Anche gli editori però dovrebbero contribuire, controllando il luogo dove viene apposto il contenuto pubblicitario e quindi quali sono i Tagging, verificando ad esempio su YouTube, prima se il contenuto non è adatto prima di inserire gli annunci accanto ad esso, per essere visualizzati. Nel frattempo Google dichiara al Times che i video su YouTube ritenuti offensivi o lesivi o segnalati come tali verranno immediatamente rimossi, specie se incitano alla violenza o fomentano l’odio. La loro politica a riguardo è: tolleranza zero!

Al momento eliminare il rischio per i Brand è ancora impossibile

Ma le misure di sicurezza sembrano essere ancora troppo orientate all’idealismo, piuttosto che ad una risoluzione realista e definitiva del problema, ed i i rischi continuano a permanere per l’industria. Se neanche Google riesce ad escludere la portata di tale fenomeno, la questione si fa ancora più critica, perché a quanto pare neanche il loro sistema di codifica dei contenuti utile ad identificarli- dice un portavoce GroupM – è in grado di garantire un efficace sistema di sicurezza e protezione, per una copertura che risulti totale.
Se Google per primo non riesce ad identificare correttamente i contenuti, diventa di conseguenza impossibile garantire agli inserzionisti l’esclusione dal rischio di incappare in tale problematicità.
D’altronde è anche un fenomeno comprensibile, vista l’immane mole di siti web che aprono ogni giorno, pretendere un controllo totale è assai difficile, almeno per il momento. 

Bethan Crockett – responsabile del rischio digitale in GroupM – a riguardo ha le idee ben chiare, sostenendo che la soluzione che risolverebbe appieno il problema eliminando ogni rischio sarebbe per i clienti di parlare direttamente con gli editori, al fine di sapere dove finiranno le proprie pubblicità, ma sappiamo benissimo che è irrealistica data l’immensa mole di contenuti sfornati quotidianamente anche su editori premium.

Soluzioni per il settore Marketing ce ne sono?

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Non poter risolvere il problema non vuol dire che non possiamo agire per mitigarlo, applicando le dovute cautele. Essere previdenti quando ci si muove in questo ambito obbedisce ad una delle regole basilari del marketing quando esigiamo qualità. Ovvero l’imperativo è acquistare perentoriamente solo da agenzie e fornitori di fiducia, punto. Dialogo tra le parti è obbligatorio e da esigere come trasparente senza negoziazione alcuna che tergiversi sul controllo e l’affidabilità e dove la sicurezza dev’essere oltre che promessa, anche azione concreta. Per la tutela  è utile ricorrere ad un contratto, che non è un’opzione, ma una scelta indispensabile, per mettere le agenzie media dinanzi alle proprie responsabilità, specie quando ad essere deluse sono le aspettative. Non solo dovranno spiegare le misure prese per la sicurezza del brand nel processo di pubblicizzazione, ma nel qual caso l’operato si rivelasse lesivo e le garanzie non rispettate come pattuito, ricorrere alle giuste sanzioni.

Il marketing deve scegliere l’affidabilità anche se costa di più

Scegliere chi ci rappresenta in base alla reputazione e non in base alla convenienza è il precetto basilare per non trovarsi poi in spiacevoli ed incresciose situazioni di questo genere per l’immagine del proprio brand. Tuttavia però lasciare una certa libertà di scelta sul contesto è basilare per la riuscita della pubblicità, quand’anche essa faccia leva ad esempio sulla dissonanza tematica o sulla visibilità che può offrire un contenuto pornografico – basti pensare a quelle sul gioco d’azzardo – ma comunque l’ultima parola deve spettare al brand che decide dove vuole che sia locata con precisione. Su quest’ultimo punto ed aspetto non si deve transigere!

Ovviamente la garanzia di comparire accanto a siti di qualità e di spiccata visibilità comporterà un aumento dei costi, ma di riflesso anche ad una lievitazione dei risultati senza il rischio di imbattersi in frodi. Non siete d’accordo?

Crediti foto: 1, 2